Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull'ingiustizia. Enrico Berlinguer

sabato 14 luglio 2012

I sommersi e il salvato


“Prendo il giornale e leggo che di giusti al mondo non ce n’è”. Così iniziava il “Mondo in M7”, un brano musicale che scalò le classifiche. Era il 1966 e bastava infilare una moneta da 50 lire nel juke-box perché i bar del centro e della periferia delle città, si riempissero della voce di Adriano Celentano e si gonfiassero di indignazione. Il suo rap ante litteram soffiava sul fuoco che covava sotto la cenere. Eravamo ai preliminari della grande contestazione del ’68. Da allora la giustizia nel mondo non è aumentata, al contrario dell’assuefazione alle terribili notizie.

Mercoledì 11 luglio 2012, prendo il giornale e leggo che 54 immigrati provenienti da Tripoli sono morti in mare. Ma la notizia non fa grande clamore. Un naufragio di Costa Crociere fa più audience. Sono morti di sete, non annegati, come invece capitò a Fleba il fenicio, il fluttuare delle cui membra nelle acque marine è cantato da Thomas Stearn Eliot, rendendolo così eterno. Non esiste una classifica di morti terribili. Eppure morire di sete in una distesa d’acqua ci appare ancora più assurdo e mostruoso, come annegare in una pozzanghera nel deserto del Sahara. Solo che quest’ultimo è un paradosso mentale, l’altra una tragica realtà quotidiana.

L’acqua è un bene comune. Sì, ma a costo di grandi lotte e comunque non in mare. Là il non possesso traccia il confine tra la morte e la vita. Erano partiti in 55, uno solo può raccontare il progredire della micidiale disidratazione collettiva. Ma di che vita vivrà? I sommersi e il salvato. Primo Levi, in conclusione della sua splendida trilogia, scriveva che in fondo tutto quello che aveva voluto dire è che l’immane tragedia dell’olocausto, per il solo fatto di essere già accaduto, avrebbe potuto ripetersi. E’ vero, ma qui la tragedia si ripete con frequenza infinita. La bella stagione è amica della morte, ancor più della cattiva. 170 morti dall’inizio del 2012? Quelli sicuramente accertati. Ovvero non meno, ma quanti siano stati in realtà nessuno lo può realmente dire. E di tutto ciò resta solo qualche dichiarazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Il nostro ministro Riccardi ha auspicato il rafforzamento del dialogo e della cooperazione. Altri neppure questo.

Qualcosa si è mosso nel nostro paese per regolarizzare le presenze di cittadini extracomunitari. Too little too late, direbbero gli inglesi. Intanto il mare nostrum continua funzionare come un cimitero liquido di capacità illimitate. La vecchia Europa sprofonda nella crisi creata dalle assurde regole imposte dalle elite che la comandano, mentre le giovani generazioni d’Africa muoiono di guerra, di fame, di sete. E’ il nuovo mondo, cui bisognerebbe ribellarsi, non più in M7, in G20.

Alfonso Gianni

Fonte: unita

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