Se oltrepassiamo il paranoico dibattito che si è aperto sulle alleanze tra i partiti in vista delle prossime scadenze elettorali italiane, ci accorgiamo che il tema vero è quale visione generale e quale idea di società siano adeguate per un cambiamento che non sia soltanto di facciata e che incida nelle condizioni materiali delle persone.
Tre questioni, tra le altre, si impongono: restituire credibilità ad una classe politica percepita come vecchia, inefficace, privilegiata e corrotta; riportare sotto il controllo democratico i meccanismi impazziti della finanza e dei mercati; migliorare la qualità dell’esistenza di quei milioni di soggetti umani che si arrabattano per non perdere la dignità, a partire dai giovani mortificati dal precariato.
Per affrontare questi problemi enormi, non c’è bisogno né di splendidi isolamenti dalle cui vette dispensare le magiche ricette né di larghe convergenze entro cui fare convivere chi pensa che la soluzione sia aggredire le diseguaglianze con chi sostiene che lo stato sociale debba sempre più assottigliarsi fino a scomparire.
C’è bisogno, invece, di chiarezza sui contenuti e, contemporaneamente, di formare una massa critica intorno ad un discorso e ad una proposta che siano in grado di parlare al Paese e di raccogliere il necessario consenso per vincere. E questo non lo si fa con gli schemi astratti tra progressisti e moderati o con l’infantilismo politico del trasporre automaticamente certi modelli in contesti altri, bensì attrezzando un percorso che coinvolga tutti i segmenti che compongono l’Italia, specialmente quelli poco o mai ascoltati.
Una rotta del genere non può non partire da un giudizio severo sul Governo Monti e da una presa di distanza dalle sue politiche per marcare una cifra culturale opposta.
Il tratto ideologico ed unificante delle riforme promosse dai cosiddetti tecnici (pensioni, mercato del lavoro, tagli lineari ai servizi pubblici travestiti da spending rewiew) consiste nel non considerare, e conseguentemente punire, le responsabilità di chi la crisi l’ha prodotta a danno di chi la sta pagando sulla propria pelle, ovvero nella rimozione delle differenze tra la minoranza che continua ad accumulare e sperperare, nonostante la crisi, e la maggioranza che ha perso il lavoro o fa fatica ad arrivare a fine mese.
Un esempio concreto di questo modo d’agire del Governo: preferire l’aumento dell’Iva, che colpisce indistintamente, alla tassazione delle rendite e delle transazioni finanziarie e dei grandi patrimoni (in luogo, ad esempio, dell’Imu sulla prima casa) o ad una lotta senza quartiere all’evasione fiscale, all’economia sommersa, ai capitali esportati all’estero.
Del resto, non che ci si potesse aspettare qualcosa di diverso da un esecutivo formato, prevalentemente, da liberali moderati (con qualche venatura di paternalismo) che oscillano tra una riverenza ossequiosa ai mercati e un calcolato vuoto di contenuti nel contrastare le situazioni di chi sta peggio.
Ciò nonostante, è opinione diffusa che Monti abbia conseguito brillanti risultati al recente vertice internazionale di Bruxelles e che la competenza sua e della sua squadra sarà indispensabile anche per la fase politica successiva; questa è la convinzione di fatto e con essa bisogna scontrarsi, non per strenua testimonianza ma per impostare meglio il processo sopra indicato.
Occorre, al più presto, un luogo di dibattito pubblico e di costruzione di proposte che tenga insieme chi crede che sia possibile definire i tratti essenziali di un programma alternativo al liberismo e al populismo, che riattivi i movimenti (dei precari, delle donne, per la libertà d’informazione, per i beni comuni, per i diritti del lavoro e civili), la cittadinanza impegnata, coloro che credono che la democrazia rappresentativa vada integrata con robuste iniezioni di democrazia diretta, i tantissimi amministratori virtuosi (non solo i sindaci!), quel popolo del centrosinistra che vota PD (oltre a quella parte che si identifica con SEL o IDV) e che ormai mostra palesi segnali d’insofferenza per il sostegno supino al Governo Monti e per le strategie confuse e attendiste in vista del futuro.
Un luogo che sia palestra per una classe dirigente giovane, colta e preparata e che intessa il dialogo perfino con esponenti autorevoli di questo stesso Governo, si pensi al Ministro alla Coesione Territoriale Fabrizio Barca ed alle sue idee fuori asse rispetto alle direttrici montiane.
Soltanto in questo modo potremo mandare in soffitta gli alchimisti della rincorsa ai moderati e raddrizzare le nostre sorti con sguardo lucido e coraggioso.
Giuseppe Morrone
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