Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull'ingiustizia. Enrico Berlinguer

sabato 14 luglio 2012

Dal no al liberismo una nuova sinistra


La politica non può diventare la fabbrica dell’obbedienza, lo spazio senza alternative, il circoscritto reparto di una specializzazione tecnica. Per questo ho trovato la discussione aperta da Mario Tronti sull’Unità una vera e propria boccata d’aria, di fronte al dilagante conformismo di maniera. Tronti, seguito da Vendola ed altri autorevolissimi contributi, parla di noi, della sinistra e della sua soggettività politica, per parlare del mondo e delle cose che possono provare a trasformarlo. È un esercizio di onestà intellettuale che non appartiene ai tardi epigoni di Margaret Thatcher, che soleva dire, in spregio ai suoi oppositori, che solo con T.i.n.a. (There is no alternative – al liberismo – of course) avrebbe potuto affrontare i problemi del suo paese. È un vecchio vizio dei conservatori travestire d’oggettiva necessità le loro scelte. Neppure l’azzardo dell’affermazione della propria ragione contro il torto altrui, solo l’annullamento sistematico della legittimità dell’altro. Il pragmatismo liberista è vissuto di questa rendita e ha fagocitato progressivamente, con le sue leggi “oggettive” e il “neutro” interesse del mercato, la sfera dell’economia e poi quella della politica. Le parole di Tronti come pure quelle di Rosi Bindi, per dire di chi non viene dalla mia storia, hanno affrontato il problema da un’angolazione che critica il paradigma liberista, cosa che condivido profondamente.


Il tema è, quindi, individuare quale spazio per costruire un nuovo campo in cui far crescere le idee differenti dal “liberismo necessario”, di cui ci parlano in continuazione, e quali pratiche democratiche per rompere la principale conventio ad escludendumdei tempi nostri, quella delle persone. Per me l’oltrepassamento delle due sinistre, non la loro fusione frigida, parte da queste due ambizioni. Il primo terreno è quello europeo. La proposta degli Stati uniti d’Europa sta in piedi solo se si riuscirà a configurare un vero demos europeo. Per farlo non ci servono discussioni grottesche sulle identità, che per fortuna esistono e rappresentano una ricchezza, ma sulla possibilità di strutturare un patto di cittadinanza, la cui base non può che essere l’unificazione di politiche attive (welfare, energia, ambiente, diritti sindacali, politiche industriali, infrastrutture). Con ciò sarà più forte il coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio. Questo è il primo terreno di convergenza che vedo tra noi, il Pd e tante forze sociali e civili, come viene giustamente esplicitato da Latorre e Vita. Proprio per praticare tale strada dobbiamo decidere se in Italia possa esistere una soggettività politica che contribuisca alla critica del paradigma liberista e che progetti una proposta di governo alternativa a quello esistente. Il Pse, che in Europa sta affrontando con serietà la critica al quindicennio neoliberista blairista, è il campo privilegiato di questa convergenza.

Per un tentativo del genere va archiviato Monti, il montismo e, aggiungerei, il tatticismo esasperante che ha introiettato ineluttabilmente l’assenza di alternative. Persino il tanto invocato rinnovamento, necessario e non rinviabile, deve essere in primo luogo un cambio di politiche e di persone che le sostengono. In questa prospettiva non vedo come sia praticabile ciò che alcuni chiedono, a partire da Casini, ovvero impegnarsi fin d’ora a proseguire le politiche di Monti. Non mi convince la tesi di Macaluso e onestamente non vedo, dopo i provvedimenti votati per la “salvezza” dell’Italia, come si possa ancora negare la natura classista di Monti che loda i fallimentari Mussari e Marchionne mentre non perde occasione per additare come nemici del popolo e della “patria” tutti quelli che si permettano di contestare le sue scelte, a partire dai sindacati.

Infine, credo che il terreno per una condivisione, un nuovo inizio per le forze di rinnovamento nel nostro paese sia quello di praticare una democrazia diretta e radicale. Non un estenuante rinvio delle proprie responsabilità, un eterno processo referendario, ma una pratica di relazioni che consenta alle idee di attraversare i partiti e non viceversa. Del resto, le proposte più innovative venute dalle primarie sono state anche quelle vincenti. Passiamo subito all’azione, costruiamo luoghi dove si possa decidere insieme a tanti cittadini che credono nella politica come strumento per il cambiamento quali siano i nostri obiettivi, impegnandoci a mantenere i patti con il nostro popolo anche dopo le elezioni. Non una resa di conti tra storie che, ha ragione Bindi, appartengono effettivamente al passato, ma un luogo comune e plurale di costruzione del presente e del futuro.

Gennaro Migliore

Pubblicato su l’unità

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