Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull'ingiustizia. Enrico Berlinguer

lunedì 18 giugno 2012

Un voto per un'Europa diversa


“Hollande trionfa, la Grecia contesta l’austerità”. Sono questi i titoli che avrei voluto leggere stamattina, ma purtroppo la linea dettata dai poteri forti ha trovato in Monti e nella maggioranza dei grandi giornali italiani dei ripetitori incolori della grande bugia che viene raccontata a proposito della giornata di ieri. Hanno titolato quasi tutti “l’euro è salvo”, ma questa è la prima bugia. L’euro non è salvo, ma hanno in compenso guadagnato un po’ di tempo i sostenitori delle attuali politiche. Merkel e Monti, nonostante i distinguo di quest’ultimo sulla fantomatica “crescita” (rigorosamente senza aggettivi), non volevano affrontare di petto una contestazione delle politiche di austerity, che Alexis Tsipras avrebbe sicuramente sollevato nel prossimo vertice europeo. Hanno brindato, questi grigi e potenti esponenti della destra europea, per il pericolo scampato. Da loro però, poiché né la malandata moneta unica né i dissanguati popoli europei, greci in testa, sono assolutamente in acque tranquille.

Chissà quali gesti apotropaici avranno fatto affinché anche in Francia si verificasse un bello stallo, magari una coabitazione tra Ps e Ump, per tagliare le unghie a Hollande e proseguire indisturbati nelle sventate scelte iperliberiste. Ma in Francia, come si sa, lo scongiuro non ha funzionato e oggi Hollande dispone della maggioranza assoluta per fare le riforme sociali, quelle vere, come la riduzione dell’età pensionabile, e quelle istituzionali, a partire dalla critica all’iperpresidenzialismo. Ma soprattutto Hollande si può sedere a negoziare la modifica delle politiche di austerità senza dover cercare compromessi con Sarkozy, che ne era stato l’influente cofondatore.

In entrambi i paesi è cresciuta ancora l’astensione: il 38% in Grecia e addirittura il 44% in Francia (dove però l’astensione al secondo turno è connaturata al tipo di legge elettorale). Si tratta di due dati che raccontano di un solco sempre più profondo tra una parte dei cittadini e le istituzioni. Ma sono convinto che in Francia si proverà ad agire per restituire fiducia ai cittadini, mentre in Grecia crescerà la chiusura del governo, similmente a quanto sta accadendo in Spagna dopo il trionfo della destra ed il tonfo dei socialisti.

Più volte abbiamo detto che il liberismo è insofferente alle limitazioni imposte dai poteri democratici. In effetti, la vergognosa campagna contro Syriza fatta direttamente dai ministri tedeschi è la prova che, per chi comanda, la democrazia può essere solo una conferma delle proprie scelte. Altrimenti è diserzione, ammutinamento, tradimento. Invece, proprio il risultato greco infonde fiducia e coraggio a chi ha la speranza di poter cambiare le cose. Syriza ha vinto politicamente, anche se ha mancato l’obiettivo di diventare la prima forza politica e quindi di ottenere il gigantesco premio di maggioranza che toccherà a Samaras ed ai suoi alleati. Ha vinto poiché ha decuplicato i voti del Synaspismos, che di Syriza è il fondatore, in poco più di tre anni. Ha vinto poiché è di gran lunga il primo partito tra i giovani e nelle aree metropolitane. Ha vinto perché ha saputo catalizzare i voti in uscita dalla dissoluzione del blocco sociale del Pasok, un partito ridotto ad un accozzaglia di privilegi e clientele, e quelli delle inconcludenti formazioni settarie, a partire dai comunisti del KKE. Siccome non cederà alle sirene di un governo di larghe intese, come subdolamente propone il Pasok, Syriza si sta attrezzando per un’opposizione che la consolidi su una linea politica europeista e contro l’austerity. Nuova democrazia ed i suoi alleati sono stretti tra i diktat di Bruxelles e Francoforte e la disperazione dei greci. Non è detto che un governo che fa cinicamente brindare i salotti buoni dell’economia continentale regga l’urto della disperazione sociale e che, nel giro di un anno, non si torni a votare.

A Parigi, invece, si comincia a fare sul serio e le indiscrezioni sul piano per lo sviluppo dell’occupazione in Europa che Hollande porterebbe al prossimo vertice europeo fanno ben sperare: “grandi cantieri” dal digitale alle energie rinnovabili, sostegno alla nuova occupazione, in particolare giovanile, tassazione delle transazioni finanziarie, eurobond e project bond. Certo non basta, poiché questa crisi si affronta interrompendo innanzitutto i tagli alla spesa sociale, l’aumento delle tasse sui ceti deboli e le privatizzazioni, ovvero i tre dogmi dell’austerity, ma la Francia non può fare tutto da sola.

C’è bisogno di un cambiamento radicale anche negli altri paesi e se si legge correttamente il risultato, un cambiamento c’è stato anche in Grecia, proprio grazie all’affermazione di Syriza. Bisogna uscire dalla sindrome che vede tutto possibile in una vittoria elettorale e la totale impotenza nel caso di una sconfitta. La politica è, in particolare per la sinistra, mobilitazione delle forze sociali e culturali, costruzione di un discorso pubblico sul modello di convivenza. Abbiamo sempre detto che l’attuale crisi è figlia della crescita delle diseguaglianze e delle ingiustizie. Abbiamo il dovere di ripartire da lì.

La vittoria di Obama fu preceduta da una grande campagna che contestava la visione del mondo dei neoconservatori, tutta guerra e liberismo, e nonostante i risultati deludenti del quadriennio stiamo ancora qui a sperare che vinca il presidente che dice no al modello suicida seguito dalle classi dirigenti europee. Così è avvenuto in Francia, dove la narrazione del presidente “normale” contro l’austerity ha dato un progetto politico ai francesi che hanno investito nel cambiamento. Persino in Grecia nessuno può più sottrarsi alla critica del memorandum, nonostante siamo in molti a pensare che il prossimo governo tradirà i cittadini a favore dei poteri forti.

Solo in Italia manca nei partiti presenti in parlamento, ma anche tra le forze intellettuali, che si convocano spesso per le nomine e per reclamare un ricambio purchessia della classe dirigente, un discorso sul cambiamento di modello. Noi lo diciamo da tempo: è il modello neoliberista che non va, non vanno bene le mortificazioni dei diritti dei lavoratori, la scure sugli esodati, la privatizzazione delle aziende pubbliche, l’aumento delle tasse sui beni di consumo e sulla prima casa. Lo dicevamo dai tempi di Genova 2001, quando incrociammo la nostra strada proprio con quella di giovani come Alexis Tsipras. Per noi anche le primarie devono essere il terreno per rappresentare questa alternativa, altrimenti si discuterà inutilmente di perimetri, di alleanze e dei millimetrici avanzamenti o arretramenti che una soluzione di compromesso potrebbe offrire. Sta a Sel scuotere l’albero della rassegnazione, altrimenti saranno altri a raccogliere i frutti amari della giusta indignazione verso chi ci ha condotti fino a questo punto.

Gennaro Migliore

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